domenica 14 ottobre 2012

Tra l’incudine e il martello. Riflessioni sulla vicenda del bambino conteso a Cittadella e le reazioni nella nostra Amministrazione.


Colleghe e Colleghi,
la vicenda di pochi giorni or sono che ha visto i colleghi della Questura di Padova al centro di una tempesta mediatica, come poche volte nella storia, impone delle riflessioni a chi, come me, ha assunto l’onore e l’onere di rappresentare centinaia di onesti lavoratori costretti ad operare ogni giorno tra l’incudine e il martello.
Voglio esimermi dall’esprimere giudizi sul perché e sul come la Corte d’Appello di Venezia ha emesso una sentenza in cui toglie la patria potestà del bambino alla madre per  assegnarla, in via esclusiva, al padre.
Tutti voi, per esperienza professionale o personale, siete consapevoli di come tale decisione sia più unica che rara,  ma quello della guerra tra ex coniugi in cui, in maniera terribile, i figli diventano strumenti di rivalsa personale è un tema troppo ampio, complicato e condizionato dal proprio convincimento personale per essere, appunto, trattato in questa sede e da me.
Ciò che mi ha stupito, impressionato e preoccupato sono le reazioni registrate all’interno della nostra Amministrazione allorquando è cominciato il linciaggio, perché di questo si tratta, morale e mediatico della Polizia in prima battuta, dei colleghi dell’Ufficio Minori di Padova successivamente ed in ultimo in maniera feroce della collega di cui si è utilizzata, in maniera volgarmente strumentale e distorta, una frase per mostrarla quale simbolo dell’arroganza dello Stato contro i cittadini.
Partiamo da un punto fermo: visti i precedenti infruttuosi,  vi è una disposizione dell’Autorità Giudiziaria a compiere un atto in un ambiente  neutro, quale è l’istituto scolastico,  prevedendo modalità tra le quali, se non altrimenti, l’accompagnamento coatto del minore in una struttura protetta.
Noi siamo poliziotti e sappiamo benissimo che non vi sono altre maniere diverse per agire. Sappiamo benissimo che se il bambino non vuole seguire il padre e gli assistenti sociali, incaricati dell’esecuzione, noi non possiamo dire che “non vuole venire”, non possiamo lasciarlo lì e, soprattutto, non possiamo relazionare al Giudice che “il bambino non voleva venire”.
Non ci piace, come non ci piace assistere all’esecuzione di sfratti o contenere le manifestazioni di chi è ridotto alla fame da scelte politiche ed economiche devastanti per centinaia di migliaia di cittadini di questo Paese. Non ci piace, ma è così. Altrimenti chi, se non noi, dovrebbe assicurare il rispetto delle Leggi e l’esecuzione delle decisioni dell’Autorità Giudiziaria?
Non me ne vogliamo tutti gli altri, ma solo chi lavora su strada sa quanto sia difficile, sempre più difficile, operare tra l’incudine del dovere d’ufficio ed il martello, sempre incombente, del più piccolo insignificante dettaglio che, da un momento all’altro, può essere sfruttato in suo danno da soggetti senza scrupoli che per spirito di rivalsa, per puro odio contro le forze di Polizia o per un attimo di gloria in televisione o su carta stampata possono gettare la nostra vita e la nostra professionalità sul bancone della macelleria mediatica.
"Io voglio i fatti. Per giudicare bisogna conoscere. E noi non conosciamo abbastanza per sapere. C'è un video, è vero. Ma non c'è il pregresso e il contesto, è un video parziale. Lasciamo che la magistratura faccia la sua parte e la polizia faccia la sua inchiesta''
Sono le uniche parole sensate, da parte delle Istituzioni, dall’inizio della vicenda, e le ha pronunciate il Ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri.
Tutti quanti gli altri, a cominciare dal Capo della Polizia, hanno fatto a gara per mostrarsi costernati, colpiti, sconvolti, indignati, sdegnati ecc.
Tralasciando le considerazioni sulla sindrome da G8 che, ancora dopo 11 anni, pone i nostri vertici in condizione di sudditanza psicologica nei confronti della prima nuvola che passa sopra la testa della Polizia di Stato, viene spontaneo dubitare della titolarità morale di una classe politica sempre più alla ribalta per l’uso disinvolto delle risorse pubbliche e per gli sprechi, anche di risorse umane, nelle forze di Polizia impegnate ad assicurare loro scorte dispendiose e sovradimensionate.
La ciliegina, avvelenata, sulla torta l’hanno messa il Capo della Polizia ed il sottosegretario De Stefano chiedendo scusa. Ma scusa di cosa? Hanno adempiuto al primo dovere di chi ha responsabilità di tale portata che è la ricerca della verità?
Sono immagini pessime quelle di un bambino trascinato contro la sua volontà, ma chi ha il DOVERE di non farsi trasportare dall’emotività, dalla superficialità e dalla fretta non può girare frettolosamente le spalle ai colleghi senza sapere se ciò che hanno visto è vero, completo ed  imparziale.
Mentre nei salotti televisivi, pomeridiani e non, andava in onda la sublimazione dell’indecenza in cui personaggi di ogni risma, anche politici, cercavano il loro posto al sole in una continua ricerca dello scoop senza ritegno, in spregio della figura e del vero bene del bambino interessato, ho assistito ad una cosa che reputo ancor più grave:  colleghi immediatamente giudici di altri colleghi.
Nell’immediatezza del fatto ho pubblicato sul mio profilo facebook  un post in cui affermavo “ Gli sciacalli sono all'opera...gli avvoltoi si avventano per avere il loro momento di gloria” . Alludendo al circo mediatico che si stava scatenando in un’unica direzione: l’accusa verso la Polizia, bieca e truce, che aveva strappato con la forza un bambino da scuola.
Il post è ancora lì, così come sono ancora lì i commenti di quei colleghi che, avendo compreso a cosa mi riferissi, hanno espresso commenti pesantissimi sulla personalità e sull’operato di altri colleghi, quelli di Padova, senza sapere nulla se non ciò che è stato mostrato dal video fornito dai familiari materni che, ripeto, è parziale e di parte.
Questo fatto mi ha preoccupato e portato a riflettere molto.
Come mai ci sono dei colleghi pronti a scagliarsi contro altri colleghi giudicando il loro operato  in servizio, aprioristicamente, senza sapere nulla di loro e di cosa sia realmente accaduto?
Non voglio richiamare uno “spirito di corpo” che potrebbe essere scambiato per corporativismo, altrettanto deleterio se finalizzato a giustificare anche i comportamenti sbagliati, ma non mi sarei mai aspettato che i primi giudici, con sentenza di condanna già pronta, fossero proprio i colleghi di giubba
che, quanto meno, dovrebbero avere l’obbligo deontologico e morale del “dubbio”, in attesa di conoscere la verità.
Ciò non solo in alcuni casi non è accaduto ma, in un momento successivo, quando piano piano è emersa una diversa ricostruzione della vicenda, che ribalta totalmente la partecipazione ed  il comportamento dei colleghi di Padova, non si leggono riflessioni (se non scuse) e valutazioni sul potere devastante, per l’Istituzione Polizia ed i suoi singoli appartenenti, che i media hanno istigando l’odio nella popolazione.
Io credo di avere un compito, ed un dovere, che non è solo quello di cercare di guidare al meglio il SIAP di Torino, nell’interesse esclusivo dell’Organizzazione, ma anche quello di fare il possibile nell’interesse di tutti i poliziotti.
E’ in questa ottica che mi rivolgo a tutti i colleghi che avranno la bontà di leggere queste righe.
Noi, come Polizia nel suo insieme, stiamo già vivendo un momento storico terribile in cui crisi sociale ed economica ci pongono, ripeto, tra l’incudine ed il martello. Con il continuo rischio di  strumentalizzazioni, accuse e demonizzazioni di ogni atto che compiamo in servizio.
L’evidenza dei fatti è spietata. Chiarita la reale responsabilità della Polizia nella vicenda c’è, ora, un nuovo nemico da colpire: la collega che, al termine di una lungo ed estenuante assedio verbale da parte delle zia del bambino, ha affermato “Io sono un Ispettore di Polizia. Lei non è Nessuno”.
Ricordando come tale frase sia estrapolata dal contesto e dall’intero colloquio, in cui ha un significato tecnico diverso e specifico,  e’ troppo facile accusarla e, se si tratta di colleghi, troppo ipocrita insistere nel ricercare un qualche comportamento inappropriato.
Da parte mia e, spero, anche da parte vostra farò giungere alla collega una solidarietà forte e convinta.
Il mio auspicio è che questa vicenda spinga tutti i colleghi a riflettere sulla propria condizione lavorativa e su quella degli altri poliziotti, soprattutto se non ne conosciamo tipologia modalità e difficoltà, prima di esprimere giudizi negativi.
La mia preghiera è quella di considerare che abbiamo già troppi nemici fuori e  che , prima di girare le spalle ad un collega aggiungendo la nostra voce al coro degli indignati di turno, dobbiamo avere TUTTI la pazienza di verificare la verità e, se il caso, di proteggerlo facendo gruppo.

Torino  14 ottobre 2012


              Il Segretario Generale Provinciale
                              SIAP Torino
                           Pietro DI LORENZO