Emanuele Petri è stato un poliziotto italiano.
Sovrintendente della Polizia di Stato,
medaglia d’oro al valor civile, morì in servizio durante l’arresto dei
leader delle nuove Brigate Rosse, responsabili degli omicidi di Massimo
D’Antona e Marco Biagi.
Il 2 marzo 2003, il sovrintendente
Petri, assieme ad altri due colleghi, Bruno Fortunato e Giovanni Di
Fronzo, svolgeva servizio di scorta viaggiatori su un treno regionale
sulla tratta ferroviaria Roma-Firenze. Poco dopo la fermata alla
stazione di Camucia-Cortona, Petri e gli altri colleghi, durante gli
accertamenti di routine, decidevano di controllare un uomo ed una donna
che viaggiavano a bordo del vagone. Questi ultimi, dopo aver esibito dei
documenti falsi ai poliziotti che si accorgevano delle incongruenze,
reagivano nei loro confronti.
L’uomo estraeva una pistola puntandola
immediatamente al collo del sovrintendente Petri ed intimando agli altri
poliziotti di gettare via le armi. Uno dei due poliziotti obbedì
gettando la propria pistola sotto i sedili del convoglio ma l’uomo reagì
ugualmente sparando alla gola di Petri, uccidendolo sul posto, e
sparando nuovamente contro l’ultimo poliziotto armato che, nonostante le
gravi ferite, riuscì a rispondere al fuoco dell’assalitore ferendolo
mortalmente. La donna premette il grilletto della sua pistola contro
l’ultimo poliziotto, ma l’arma non funzionò, perché ancora con la
sicura, ed il colpo non partì. Ne seguì una colluttazione al termine
della quale la terrorista veniva bloccata.
“Verso la terza-quarta vettura io
(Fortunato, ndr) e Di Fronzo ci fermammo per identificare una persona,
mentre Petri era andato avanti ed era entrato in uno scompartimento”
racconterà poi al processo il sovraintentende Bruno Fortunato “Ho alzato
lo sguardo, e ho visto Petri uscire dallo scompartimento con dei
documenti in mano e cominciare a telefonare col cellulare collegato alla
sala operativa della questura di Firenze. Poi ho visto un uomo (Galesi,
ndr) che si avvicinava e gli puntava una pistola all’altezza della
gola. Io e Di Fronzo ci siamo avvicinati di qualche passo e io gli ho
fatto “ma che fai, butta quella pistola”. Lui invece ci ha gridato
qualcosa come “datemi le armi, consegnatele a lei” (la Lioce, ndr). Io
avevo sfilato la mia pistola dalla fondina e la nascondevo dietro lo
spigolo di una poltrona. Lei mi è passata accanto senza guardarmi, poi
ho capito che puntava alla pistola che Di Fronzo intanto aveva gettato
per terra sotto alcuni sedili. Quando lei era appena dietro di me, ho
sentito un pizzico all’addome (il colpo sparato da Galesi, ndr). Poi ho
sentito qualche altro colpo, ma non so quanti. Emanuele (Petri, ndr) era
a terra, io ho alzato la pistola e ho sparato. Galesi è caduto a terra,
disteso nel corridoio. A quel punto sento Di Fronzo che mi fa “Bruno,
dammi una mano”. Mi sono girato ma non me la sono sentita di fare
un’altra cosa (di sparare, ndr). Ho rimesso la pistola nella fondina ho
visto l’imputata distesa su una poltrona con una pistola fra le gambe
che scarrellava e premeva il grilletto, alcune volte, senza che partisse
il colpo. Di Fronzo era dietro di lei, piegato sullo schienale di una
poltrona e cercava di bloccarla ma inutilmente perché non arrivava alla
pistola. Ho visto la donna che cercava di riarmare l’arma più volte e di
sparare verso di me. Dopo ho capito che era l’arma che Di Fronzo aveva
gettato sotto i sedili. Gli ho strappato la pistola dalle mani, l’ho
data a Di Fronzo e l’ho ammanettata. Poi sono andato a vedere più
avanti. Galesi rantolava per terra, Emanuele purtroppo era disteso senza
vita.”
Il treno si fermò quindi alla stazione
di Castiglion Fiorentino dove arrivarono i primi soccorsi per le persone
ferite, tra cui Galesi (che però morì alcune ore dopo in ospedale) e
l’agente Fortunato che venne poi salvato dopo una lunga operazione
chirurgica e rimase per sette giorni ricoverato nel reparto di
rianimazione. Fortunato dovette pagarsi di tasca propria le spese legali
del processo penale che ne seguì. Scosso dalla tragedia, non ebbe mai a
riprendersi completamente, arrivando al suicidio nel 2010.
Dopo le prime indagini si riusciva ad
accertare che i due sospetti, controllati dai poliziotti, erano
terroristi facenti parte delle Brigate Rosse e, dalle ricostruzioni e
dal materiale rinvenuto sul treno e nella borsa della donna (documenti,
floppy disk e due palmari), gli investigatori riuscivano a catturare,
nel periodo successivo, tutti gli appartenenti dell’organizzazione
terroristica responsabile anche degli omicidi di Massimo D’Antona e
Marco Biagi, avvenuti rispettivamente negli anni 1999 e 2002.
Petri, il giorno della sua morte non doveva prestare servizio ma
aveva chiesto un cambio turno per assistere un ex collega dei
Carabinieri malato gravemente.
Lascia la moglie ed un figlio di 23 anni, anche lui poliziotto. Alla
sua memoria è stata conferita la medaglia d’oro al valor civile,
consegnata alla moglie dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio
Ciampi ed un monumento bronzeo a suo ricordo, rappresentante un cuore
spezzato, è stato collocato nel piazzale della stazione ferroviaria di
Castiglio Fiorentino, a lui ora dedicata.
Medaglia d’Oro al Valor Civile: “Impegnato in servizio di scorta
viaggiatori sul treno Roma-Firenze, notando due persone sospette,
decideva, unitamente ad altri colleghi, di procedere al loro controllo.
Ne seguiva una violenta colluttazione nel corso della quale veniva
colpito a morte da alcuni colpi di pistola esplosi dai due, risultati
essere pericolosissimi terroristi, permettendo così, con il sacrificio
della propria vita, la cattura degli stessi. Fulgido esempio di
attaccamento al dovere, coraggio e capacità professionale, poste al
servizio della collettività” – Castiglion Fiorentino (Ar) 2 marzo 2003.
*dal sito www.raffaelebianco.net